venerdì 21 dicembre 2012

TREMARE DI GIOIA

In quei giorni Maria si alzò e andò in fretta verso la regione montuosa, in una città di Giuda. Entrata nella casa di Zaccarìa, salutò Elisabetta. Appena Elisabetta ebbe udito il saluto di Maria, il bambino sussultò nel suo grembo. Elisabetta fu colmata di Spirito Santo ed esclamò a gran voce: «Benedetta tu fra le donne e benedetto il frutto del tuo grembo! A che cosa devo che la madre del mio Signore venga da me? Ecco, appena il tuo saluto è giunto ai miei orecchi, il bambino ha sussultato di gioia nel mio grembo. E beata colei che ha creduto nell’adempimento di ciò che il Signore le ha detto». 
Lc 1,39-45

La fretta con la quale Maria si alza e raggiunge sua cugina Elisabetta è abbastanza sospetta: perché tanta fretta, perché tutta questa urgenza di raggiungere la sua parente anziana al sesto mese di gravidanza? 
Mi pare di vederla questa ragazza: la vita sconvolta dal progetto che Dio ha su di lei, un fidanzato al quale spiegare il motivo per cui è incinta, dei genitori (Gioacchino e Anna) che le avranno fatto mille domande e poi quella legge, che la condannava a morte come un'adultera. Altro che visitazione! Maria scappa da sua cugina Elisabetta perché ha bisogno di essere aiutata, perché ha bisogno di essere sostenuta in quel "sì" che aveva detto al Signore. Convinta nel suo "eccomi", bisognosa di essere aiutata a portare a compimento ciò che aveva accettato. Non è forse la prima cosa che facciamo quando percepiamo una cosa bella, grande, più grande di noi (come può essere una vocazione) quella di scappare da qualcuno che ci può capire, perché magari ha già vissuto un'esperienza del genere? In questi giorni prima di Natale l'umanità di Maria mi fa tremare: perché mi fa capire che le grandi cose che l'Altissimo ha compiuto in lei le può compiere anche in me, anche in te, anche in ciascuno di noi. 
Tremare di gioia. 

giovedì 20 dicembre 2012

CAMBIO DI PROGRAMMA

Nel sesto mese, l'angelo Gabriele fu mandato da Dio in una città della Galilea, chiamata Nazaret, a una vergine, promessa sposa di un uomo della casa di Davide, chiamato Giuseppe. La vergine si chiamava Maria. Entrando da lei, disse: "Ti saluto, o piena di grazia, il Signore è con te". A queste parole ella rimase turbata e si domandava che senso avesse un tale saluto. L'angelo le disse: "Non temere, Maria, perché hai trovato grazia presso Dio. Ecco concepirai un figlio, lo darai alla luce e lo chiamerai Gesù. Sarà grande e chiamato Figlio dell'Altissimo; il Signore Dio gli darà il trono di Davide suo padre e regnerà per sempre sulla casa di Giacobbe e il suo regno non avrà fine". Allora Maria disse all'angelo: "Come è possibile? Non conosco uomo". Le rispose l'angelo: "Lo Spirito Santo scenderà su di te, su te stenderà la sua ombra la potenza dell'Altissimo. Colui che nascerà sarà dunque santo e chiamato Figlio di Dio. Vedi: anche Elisabetta, tua parente, nella sua vecchiaia, ha concepito un figlio e questo è il sesto mese per lei, che tutti dicevano sterile: nulla è impossibile a Dio". Allora Maria disse: "Eccomi, sono la serva del Signore, avvenga di me quello che hai detto". E l'angelo partì da lei. 
Lc 1, 26-38



Ed ecco il racconto che descrive il giorno che ha cambiato la storia: Maria, giovane ragazza, piena di fede in Dio, accoglie l’annuncio dell’angelo Gabriele con semplicità e affidamento. Il suo “sì”, semplice e sincero, è detto senza paura, ma anche con un certo tremore, con un turbamento interiore che non le permetteva di comprendere fino in fondo il senso delle cose che stavano accadendo. Nonostante tutto, con la sua fede e il suo coraggio, ha permesso all’umanità di essere salvata. Se noi oggi conosciamo Gesù e siamo cristiani è perché quella mattina Maria ha accettato la volontà di Dio sulla sua vita, ha accettato di farsi scombussolare la vita da Dio e dalle sue parole. Ma se Dio ha avuto bisogno di una ragazza di 15 anni per fare grandi cose, da me cosa può aver bisogno?

mercoledì 19 dicembre 2012

NON È MAI TROPPO TARDI

Al tempo di Erode, re della Giudea, c'era un sacerdote chiamato Zaccaria, della classe di Abìa, e aveva in moglie una discendente di Aronne chiamata Elisabetta. Erano giusti davanti a Dio, osservavano irreprensibili tutte le leggi e le prescrizioni del Signore. Ma non avevano figli, perché Elisabetta era sterile e tutti e due erano avanti negli anni. Mentre Zaccaria officiava davanti al Signore nel turno della sua classe, secondo l'usanza del servizio sacerdotale, gli toccò in sorte di entrare nel tempio per fare l'offerta dell'incenso. Tutta l'assemblea del popolo pregava fuori nell'ora dell'incenso. Allora gli apparve un angelo del Signore, ritto alla destra dell'altare dell'incenso. Quando lo vide, Zaccaria si turbò e fu preso da timore. Ma l'angelo gli disse: "Non temere, Zaccaria, la tua preghiera è stata esaudita e tua moglie Elisabetta ti darà un figlio, che chiamerai Giovanni. Avrai gioia ed esultanza e molti si rallegreranno della sua nascita, poiché egli sarà grande davanti al Signore; non berrà vino né bevande inebrianti, sarà pieno di Spirito Santo fin dal seno di sua madre e ricondurrà molti figli d'Israele al Signore loro Dio. Gli camminerà innanzi con lo spirito e la forza di Elia, per ricondurre i cuori dei padri verso i figli e i ribelli alla saggezza dei giusti e preparare al Signore un popolo ben disposto". Zaccaria disse all'angelo: "Come posso conoscere questo? Io sono vecchio e mia moglie è avanzata negli anni". L'angelo gli rispose: "Io sono Gabriele che sto al cospetto di Dio e sono stato mandato a portarti questo lieto annunzio. Ed ecco, sarai muto e non potrai parlare fino al giorno in cui queste cose avverranno, perché non hai creduto alle mie parole, le quali si adempiranno a loro tempo". Intanto il popolo stava in attesa di Zaccaria, e si meravigliava per il suo indugiare nel tempio. Quando poi uscì e non poteva parlare loro, capirono che nel tempio aveva avuto una visione. Faceva loro dei cenni e restava muto. Compiuti i giorni del suo servizio, tornò a casa. Dopo quei giorni Elisabetta, sua moglie, concepì e si tenne nascosta per cinque mesi e diceva: "Ecco che cosa ha fatto per me il Signore, nei giorni in cui si è degnato di togliere la mia vergogna tra gli uomini". 
Lc 1,5-25 

È la storia del concepimento di Giovanni Battista, il “cugino” di Gesù, nato prima di Lui. Dio continua a fare grandi cose nella vita di chi si affida totalmente al suo amore e alla sua potenza. Fa nascere questo bambino in una famiglia di genitori anziani, che ormai avevano perso ogni speranza di poter avere un figlio. Ma la fede e l’affidamento di entrambi ha permesso loro di vivere senza lamentarsi, senza rinnegare Dio nella loro vita, senza arrivare ad accusarlo di questa mancanza. E questa loro vera e propria voglia di vivere è rientrata nel progetto di salvezza di Dio che prevedeva per loro la nascita di un figlio, del più grande di tutti i profeti, colui che avrebbe preparato la strada al Salvatore del mondo. Spesso succede anche a noi come a Zaccaria ed Elisabetta: una vita irreprensibile, bella, buona, magari anche piena di fede e opere buone. Ma c'è comunque qualcosa che non va, qualche preoccupazione o problema che crea "vergogna" per come siamo, per ciò che non riusciamo a completare, che ci lascia dubbiosi sulla reale potenza (o a volte, presenza) di Dio sulla nostra esistenza. La fede di questi due anziani li porta a realizzare il loro sogno, quel desiderio che li salva dalla maledizione degli uomini. Ci insegnano a rimanere con coraggio nel posto che la vita ci ha affidato, senza dare ai nostri problemi più peso di quanto già ne abbiano. Sempre con tanta, tanta, tanta fede.


martedì 18 dicembre 2012

ALLARGARE L'ORIZZONTE DEI SOGNI

Ecco come avvenne la nascita di Gesù Cristo: sua madre Maria, essendo promessa sposa di Giuseppe, prima che andassero a vivere insieme si trovò incinta per opera dello Spirito Santo. Giuseppe suo sposo, che era giusto e non voleva ripudiarla, decise di licenziarla in segreto. Mentre però stava pensando a queste cose, ecco che gli apparve in sogno un angelo del Signore e gli disse: "Giuseppe, figlio di Davide, non temere di prendere con te Maria, tua sposa, perché quel che è generato in lei viene dallo Spirito Santo. Essa partorirà un figlio e tu lo chiamerai Gesù: egli infatti salverà il suo popolo dai suoi peccati". Tutto questo avvenne perché si adempisse ciò che era stato detto dal Signore per mezzo del profeta: Ecco, la vergine concepirà e partorirà un figlio che sarà chiamato Emmanuele, che significa Dio con noi.Destatosi dal sonno, Giuseppe fece come gli aveva ordinato l'angelo del Signore e prese con sé la sua sposa. 
Mt 1, 18-24 

Che grande fede deve avere avuto Giuseppe! Spesso lo raffigurano come anziano. Forse era solo un po’ più grande di Maria (che aveva probabilmente 15/16 anni quando è rimasta incinta di Gesù). Un giovane uomo che si fida così tanto di Dio da iniziare un’avventura incredibile, sulla base di alcune parole dette da un angelo. Sulla base di un sogno. Giuseppe ha dato retta al suo sogno e ha trovato la strada per avere la felicità: quella di essere lo sposo di Maria e il padre putativo di Gesù. E noi siamo capaci di credere ai nostri sogni? Siamo capaci di fidarci così tanto da provare ad allargare l'orizzonte dei nostri sogni sulla base di quanto Dio continuamente ci chiede nella nostra vita? 

lunedì 17 dicembre 2012

DOPO TUTT-I, PROPRIO PER NOI

Genealogia di Gesù Cristo figlio di Davide, figlio di Abramo. Abramo generò Isacco, Isacco generò Giacobbe, Giacobbe generò Giuda e i suoi fratelli, Giuda generò Fares e Zara da Tamar, Fares generò Esròm, Esròm generò Aram, Aram generò Aminadàb, Aminadàb generò Naassòn, Naassòn generò Salmòn, Salmòn generò Booz da Racab, Booz generò Obed da Rut, Obed generò Iesse, Iesse generò il re Davide. Davide generò Salomone da quella che era stata la moglie di Urìa, Salomone generò Roboamo, Roboamo generò Abìa, Abìa generò Asàf, Asàf generò Giòsafat, Giòsafat generò Ioram, Ioram generò Ozia, Ozia generò Ioatam, Ioatam generò Acaz, Acaz generò Ezechia, Ezechia generò Manasse, Manasse generò Amos, Amos generò Giosia, Giosia generò Ieconia e i suoi fratelli, al tempo della deportazione in Babilonia. Dopo la deportazione in Babilonia, Ieconia generò Salatiel, Salatiel generò Zorobabèle, Zorobabèle generò Abiùd, Abiùd generò Elìacim, Elìacim generò Azor, Azor generò Sadoc, Sadoc generò Achim, Achim generò Eliùd, Eliùd generò Eleàzar, Eleàzar generò Mattan, Mattan generò Giacobbe, Giacobbe generò Giuseppe, lo sposo di Maria, dalla quale è nato Gesù chiamato Cristo. La somma di tutte le generazioni, da Abramo a Davide, è così di quattordici; da Davide fino alla deportazione in Babilonia è ancora di quattordici; dalla deportazione in Babilonia a Cristo è, infine, di quattordici. 
Mt 1, 1-17 

Un lungo elenco di nomi. A noi, forse, non ci dicono nulla tutti questi nomi. Ma se ci pensiamo bene questa genealogia di Gesù ci dice una cosa importantissima: Dio, da sempre, ha pensato di mandarci il suo Figlio; Dio, da sempre, ama tutti gli uomini, tanto da preparare per loro una storia di vita, tutta da provare, tutta da vivere. Noi abbiamo la grazia e la fortuna di vivere non più l’attesa ma il compimento di questa storia: solo con Gesù la storia della nostra vita ha un senso, un significato e una direzione. Solo con Gesù la nostra gioia può essere vera, abbondante e piena! Ancora pochi giorni e questa gioia diventerà stupore: lo stupore, dopo tanto tempo, di ritrovare ancora Gesù nella nostra esistenza.

venerdì 14 dicembre 2012

LAMENTOSAMENTE NON VA BENE!

Ma a chi paragonerò io questa generazione? Essa è simile a quei fanciulli seduti sulle piazze che si rivolgono agli altri compagni e dicono: Vi abbiamo suonato il flauto e non avete ballato, abbiamo cantato un lamento e non avete pianto. È venuto Giovanni, che non mangia e non beve, e hanno detto: Ha un demonio. È venuto il Figlio dell'uomo, che mangia e beve, e dicono: Ecco un mangione e un beone, amico dei pubblicani e dei peccatori. Ma la sapienza è stata riconosciuta giusta per le opere che essa compie. 
Mt 11, 16-19

Qual è un rischio che corriamo frequentemente e che colora la vita con tinte insopportabili? La lamentela! Ci possono essere giornate storte, ma spesso non ci va bene proprio niente: se piove perché piove, se fa freddo perché fa freddo, se fa caldo perché fa caldo… La vita migliore sembra essere sempre da un’altra parte. Hai mai provato a pensare che invece di lamentarti per qualsiasi motivo tu puoi prendere in mano le redini della tua vita e decidere da che parte andare, decidere come cambiare le cose? Puoi farlo, non trovare scuse: con la pazienza, la semplicità, la costanza e cercando il dialogo con gli altri saremmo capaci di fare veri e propri miracoli. Senza lamentele. 

giovedì 13 dicembre 2012

QUEL DITO CHE INDICA LA STRADA

In verità vi dico: tra i nati di donna non è sorto uno più grande di Giovanni il Battista; tuttavia il più piccolo nel regno dei cieli è più grande di lui. Dai giorni di Giovanni il Battista fino ad ora, il regno dei cieli soffre violenza e i violenti se ne impadroniscono. La Legge e tutti i Profeti infatti hanno profetato fino a Giovanni. E se lo volete accettare, egli è quell'Elia che deve venire. Chi ha orecchi, ascolti! 
Mt 11, 11-15

Giovanni Battista era cugino di secondo grado di Gesù. È nato sei mesi prima di Lui. È giunto sulla scena pubblica prima di Lui. È l’ultimo grande profeta prima di Gesù e aiuta la gente a prepararsi ad accogliere il Figlio di Dio. La nostra vita ha bisogno di persone come Giovanni Battista, che ci aiutino a prepararci, che ci parlino di Gesù, ci indichino la strada più sicura per arrivare a Lui. Spesso cerchiamo la felicità nella comodità, cercando di fare i furbi. Ma la vita, prima o poi, chiede il suo conto. Ci fidiamo di chi ci parla di Gesù? Abbiamo il coraggio di “ascoltare” le parole che riguardano il Signore e di farle entrare nella nostra vita? Oppure…rimangono solo belle parole? Coraggio!

mercoledì 12 dicembre 2012

UN PO' DI RIPOSO

Venite a me, voi tutti, che siete affaticati e oppressi, e io vi ristorerò. Prendete il mio giogo sopra di voi e imparate da me, che sono mite e umile di cuore, e troverete ristoro per le vostre anime. Il mio giogo infatti è dolce e il mio carico leggero". 
Mt 11, 28-30

In questo tempo di Avvento sembra che il Signore abbia un desiderio forte: quello di stare con noi. Per prepararci a vivere l’importante giorno della sua nascita abbiamo bisogno di stare un po’ di più con Lui, di leggere ogni giorno il Vangelo, di parlare e di raccontargli come sta andando il nostro cammino. Stare con Gesù ristora da tante fatiche, fa pensare a una vita diversa, più libera, una vita vera perché piena di speranza e di capacità di affrontare i problemi con uno sguardo differente. Quando stiamo con Lui nella preghiera ci sentiamo bene e impariamo, finalmente, ad essere miti e umili di cuore, cioè ad essere semplici. Solo così la vita trova riposo e la strada per la felicità.

martedì 11 dicembre 2012

NEANCHE UNO!

Che ve ne pare? Se un uomo ha cento pecore e ne smarrisce una, non lascerà forse le novantanove sui monti, per andare in cerca di quella perduta? Se gli riesce di trovarla, in verità vi dico, si rallegrerà per quella più che per le novantanove che non si erano smarrite. Così il Padre vostro celeste non vuole che si perda neanche uno solo di questi piccoli. 
Mt 18, 12-14 

Gesù è talmente interessato alla nostra vita, soprattutto nei momenti in cui siamo più lontano da Lui, che sarebbe disposto a lasciare perdere qualcuno dei suoi discepoli, pur di venirci a cercare. Non sempre ci accorgiamo di come il Signore ci venga incontro nelle nostre giornate. Occorre avere una vista capace di scorgere la sua presenza: attenzione ai dettagli, alle piccole cose, alle cose semplici che succedono, quelle che ci fanno sorridere, che ci lasciano sereni, che ci donano, anche per un solo momento, la pace nel cuore. Ecco ciò che vuole il Signore per noi: che non ci smarriamo, che non perdiamo la strada per tornare a casa. E una volta che il nostro cuore si sarà affidato ancora a Lui, il Signore è pronto a fare con noi una festa: la festa della vera gioia nella nostra vita. 
Fidati di Lui e lasciati cercare!

lunedì 10 dicembre 2012

COSE PRODIGIOSE

Un giorno sedeva insegnando. Sedevano là anche farisei e dottori della legge, venuti da ogni villaggio della Galilea, della Giudea e da Gerusalemme. E la potenza del Signore gli faceva operare guarigioni. Ed ecco alcuni uomini, portando sopra un letto un paralitico, cercavano di farlo passare e metterlo davanti a lui. Non trovando da qual parte introdurlo a causa della folla, salirono sul tetto e lo calarono attraverso le tegole con il lettuccio davanti a Gesù, nel mezzo della stanza. Veduta la loro fede, disse: "Uomo, i tuoi peccati ti sono rimessi". Gli scribi e i farisei cominciarono a discutere dicendo: "Chi è costui che pronuncia bestemmie? Chi può rimettere i peccati, se non Dio soltanto?". Ma Gesù, conosciuti i loro ragionamenti, rispose: "Che cosa andate ragionando nei vostri cuori? Che cosa è più facile, dire: Ti sono rimessi i tuoi peccati, o dire: Alzati e cammina? Ora, perché sappiate che il Figlio dell'uomo ha il potere sulla terra di rimettere i peccati: io ti dico - esclamò rivolto al paralitico - alzati, prendi il tuo lettuccio e va’ a casa tua". Subito egli si alzò davanti a loro, prese il lettuccio su cui era disteso e si avviò verso casa glorificando Dio. Tutti rimasero stupiti e levavano lode a Dio; pieni di timore dicevano: "Oggi abbiamo visto cose prodigiose". 
Lc 5, 17-26 

Gesù era un uomo straordinario. La gente per ascoltarlo camminava per giorni interi. Perché aveva parole vere, parole buone, parole che parlavano alla loro vita. Parole in grado di curare le malattie e le paralisi del corpo e del cuore. Spesso, Gesù, con i suoi discorsi aiutava la gente a convertire il loro cuore, cioè a guarirlo dalla durezza e dall’invidia. Gli scribi e i farisei di questo brano sono così: hanno il cuore indurito e non riescono a vedere in Gesù un uomo buono, uno che con le sue parole e i suoi gesti fa davvero del bene a chi lo incontra. Quell’uomo, quel giorno, grazie alla fede/fiducia dei suoi amici in Gesù, è tornato a casa camminando, pieno di gioia. Anche noi abbiamo bisogno di Gesù per guarire da tante malattie, da tante paralisi, da tante paure, dall’invidia, dalla pigrizia, dalla poca stima in noi stessi. Fidarsi di Gesù cambia la vita!

venerdì 7 dicembre 2012

AMBROGIO SIA VESCOVO!

Io sono il buon pastore. Il buon pastore offre la vita per le pecore. Il mercenario invece, che non è pastore e al quale le pecore non appartengono, vede venire il lupo, abbandona le pecore e fugge e il lupo le rapisce e le disperde; egli è un mercenario e non gli importa delle pecore. Io sono il buon pastore, conosco le mie pecore e le mie pecore conoscono me, come il Padre conosce me e io conosco il Padre; e offro la vita per le pecore. E ho altre pecore che non sono di quest'ovile; anche queste io devo condurre; ascolteranno la mia voce e diventeranno un solo gregge e un solo pastore. 
Gv 10, 11-16 

Ciò che Gesù ci dice in questo giorno di festa per la Chiesa di Milano riguarda un ambito forse un po’ lontano dalla nostra vita. Si parla di pecore, di pastori, di greggi. Attraverso questa metafora Gesù ci sta dicendo che ci fideremo di Lui soltanto nel momento in cui ci impegniamo a conoscerlo e ci lasciamo conoscere da Lui. Come fare? Come conoscere la voce buona del pastore che aiuta le pecore ad andare avanti? Come riconoscere invece la voce del mercenario (ovvero ciò che non fa bene alla nostra vita), al quale non importano le pecore? Dobbiamo faticare un po’ per stare con Gesù. Un pastore rimane tutto il giorno con le sue pecore e viceversa: le pecore quando non hanno più la loro guida, quando non vedono più il pastore e non sentono più la sua voce, si sentono perse. Anche noi possiamo vivere la stessa esperienza: da parte di Gesù c’è un grande desiderio di incontrarci e di stare con noi, soprattutto in quel tempo della giornata che decidiamo di dedicargli e ci mettiamo a pregare, cioè a parlare della nostra vita con Lui. Alla fine della prima/terza settimana di Avvento è importante fare un piccolo esame di coscienza: quanto mi sono fidato della voce buona di Gesù che vuole rendere migliore la mia vita?

giovedì 6 dicembre 2012

ROCK ON!

Non chiunque mi dice: Signore, Signore, entrerà nel regno dei cieli, ma colui che fa la volontà del Padre mio che è nei cieli. Perciò chiunque ascolta queste mie parole e le mette in pratica, è simile a un uomo saggio che ha costruito la sua casa sulla roccia. Cadde la pioggia, strariparono i fiumi, soffiarono i venti e si abbatterono su quella casa, ed essa non cadde, perché era fondata sopra la roccia. Chiunque ascolta queste mie parole e non le mette in pratica, è simile a un uomo stolto che ha costruito la sua casa sulla sabbia. Cadde la pioggia, strariparono i fiumi, soffiarono i venti e si abbatterono su quella casa, ed essa cadde, e la sua rovina fu grande. 
Mt 7,21.24-27 

Su che cosa costruiamo la nostra vita? Le nostre giornate da cosa prendono inizio? Qual è la forza che ci convince ad alzarci dal letto al mattino? Quali sono i punti di riferimento che si possono considerare per aggrapparci nei momenti più difficili? Ci sono vicende della vita che ci mettono alla prova: fatiche, dolori, sfide, delusioni, fallimenti. Sono queste cose che dicono chi siamo? Oppure siamo di più dei nostri fallimenti, valiamo di più di queste nostre cadute? 
Gesù sa che ognuno di noi vale di più di ciò che nella vita è un fallimento, vale di più di un brutto voto a scuola o di quel senso da "fallito" che si prova quando le cose vanno male e, per farlo percepire anche noi, ci insegna un trucco: costruisci la tua casa, fonda la tua vita, su una roccia, non sulla sabbia. Scavare la roccia è più faticoso, a volte procura dolore, ferisce le mani di chi scava. Ma il risultato finale è innegabile: chi costruisce così non verrà abbattuto da niente, perché la sua felicità non potrà passare. La sua felicità è Gesù e le sue parole indicheranno la strada da percorrere, le scelte da fare, il modo in cui vivere. Questo vuol dire “mettere in pratica le sue parole” e non soltanto riempirsi la bocca di belle (e un po’ false) espressioni che sanno di cristianesimo. Facciamo tante cose per Gesù, lo chiamiamo tante volte, ci diciamo cristiani. Ma le sue parole sono quella roccia che fonda la nostra vita?

mercoledì 5 dicembre 2012

FAME DI VITA

Allontanatosi di là, Gesù giunse presso il mare di Galilea e, salito sul monte, si fermò là. Attorno a lui si radunò molta folla recando con sé zoppi, storpi, ciechi, sordi e molti altri malati; li deposero ai suoi piedi, ed egli li guarì. E la folla era piena di stupore nel vedere i muti che parlavano, gli storpi raddrizzati, gli zoppi che camminavano e i ciechi che vedevano. E glorificava il Dio di Israele. Allora Gesù chiamò a sé i discepoli e disse: "Sento compassione di questa folla: ormai da tre giorni mi vengono dietro e non hanno da mangiare. Non voglio rimandarli digiuni, perché non svengano lungo la strada". E i discepoli gli dissero: "Dove potremo noi trovare in un deserto tanti pani da sfamare una folla così grande?". Ma Gesù domandò: "Quanti pani avete?". Risposero: "Sette, e pochi pesciolini". Dopo aver ordinato alla folla di sedersi per terra, Gesù prese i sette pani e i pesci, rese grazie, li spezzò, li dava ai discepoli, e i discepoli li distribuivano alla folla. Tutti mangiarono e furono saziati. 
Dei pezzi avanzati portarono via sette sporte piene. 



Mt 15, 29-37

Gesù non smette un secondo di prendersi cura della gente che va da Lui: prima li guarisce nei loro bisogni più urgenti (ridona parola ai muti, permette agli zoppi di ritornare a camminare, i paralizzati tornano a muoversi e i ciechi recuperano la vista); poi si preoccupa, prova compassione per un bisogno elementare, primario della vita di ciascuno di loro: la loro fame. Con poche cose, lo sappiamo, riesce a fare un grande miracolo. Sette pani e pochi pesci che si moltiplicano e sfamano tutti. Gesù è così: la sua presenza guarisce ogni malattia del corpo e dell’anima e sazia quella fame che ogni uomo e ogni donna, ogni ragazzo e ogni ragazza ha. Non parliamo solo di malattie e fame che riguardano il corpo, ma anche di quegli stati di “malattia” e di “fame” che riguardano la vita. Succede spesso di stare male senza un motivo medico o di sentire che qualcosa manca dentro, come una fame, come una felicità o una guarigione che non si riesce ad ottenere in nessun modo. Gesù si rende disponibile con le sue parole e con la sua presenza per stare con noi, per guarire ciò che non va e per sfamarci quando sentiamo fame, fame di vita vera!

martedì 4 dicembre 2012

NON BASTA...

In quello stesso istante Gesù esultò nello Spirito Santo e disse: "Io ti rendo lode, Padre, Signore del cielo e della terra, che hai nascosto queste cose ai dotti e ai sapienti e le hai rivelate ai piccoli. Sì, Padre, perché così a te è piaciuto. Ogni cosa mi è stata affidata dal Padre mio e nessuno sa chi è il Figlio se non il Padre, né chi è il Padre se non il Figlio e colui al quale il Figlio lo voglia rivelare". E volgendosi ai discepoli, in disparte, disse: "Beati gli occhi che vedono ciò che voi vedete. Vi dico che molti profeti e re hanno desiderato vedere ciò che voi vedete, ma non lo videro, e udire ciò che voi udite, ma non l'udirono". 
Lc 10, 21-24 

Ci sono tantissime cose che l’uomo può conoscere e molte, nel corso della storia, le ha comprese, conosciute, scoperte grazie alla sua forza di volontà, al suo intelletto, all’uso sano della ragione. Se oggi viviamo con tante comodità è proprio grazie a ciò che l’uomo è riuscito a scoprire, conoscere e inventare. Ma Gesù, in questo brano di Vangelo, in cui ringrazia il Padre perché i semplici e gli umili hanno capito, mentre i dotti e i sapienti no, ci vuole dire che non basta la sapienza umana, non basta arrivare a capire e scoprire ogni mistero, a spiegare ogni fenomeno con le sole nostre forze. All’uomo, a tutti gli uomini, serve una gioia vera, una felicità che non passa mai, nonostante tutto. E questa felicità -ci dice Gesù- la si scopre e conquista soltanto se si conosce Dio. Ma come possiamo conoscere Dio, che non lo vediamo, non lo sentiamo, non lo possiamo incontrare? È una domanda lecita, che tutti noi, prima o poi ci siamo fatti. Ma per ogni domanda c’è una sua risposta. Per ogni problema c’è la sua soluzione. Se non vediamo il Sole nel cielo, capiamo che c’è brutto tempo. Ma non possiamo dire che il Sole non esiste, solo perché non lo vediamo risplendere. Dio non si manifesta come tante altre cose, non fa il rumore che fanno gli uomini, non parla come noi. Abbiamo bisogno di allenare gli occhi per saperlo riconoscere, le orecchie per saperlo ascoltare, il cuore per saperlo amare, dopo aver percepito che Lui per primo ci ama! Quante persone desiderano amare Dio e non ce la fanno!?

lunedì 3 dicembre 2012

IO VERRO’ E LO CURERO’

Entrato in Cafarnao, gli venne incontro un centurione che lo scongiurava: "Signore, il mio servo giace in casa paralizzato e soffre terribilmente". Gesù gli rispose: "Io verrò e lo curerò". Ma il centurione riprese: "Signore, io non son degno che tu entri sotto il mio tetto, dì soltanto una parola e il mio servo sarà guarito. Perché anch'io, che sono un subalterno, ho soldati sotto di me e dico a uno: Fà questo, ed egli lo fa". All'udire ciò, Gesù ne fu ammirato e disse a quelli che lo seguivano: "In verità vi dico, presso nessuno in Israele ho trovato una fede così grande. Ora vi dico che molti verranno dall'oriente e dall'occidente e siederanno a mensa con Abramo, Isacco e Giacobbe nel regno dei cieli. 
Mt 8, 5-11 

Essere paralizzati. Soffrire terribilmente. Spesso nella vita ci sentiamo così: “paralizzati”, cioè senza la forza, il coraggio, di fare nulla. Pensiamo che non valga la pena, pensiamo che i problemi che abbiamo siano più grandi di noi. Spesso è proprio così e da soli non ce la facciamo. Quante volte lo hai pensato: “come faccio a farcela da solo?” ? Questo senso di paralisi, questo senso di solitudine ci fa soffrire, fa soffrire moltissimo e il desiderio più grande è quello che qualcuno arrivi e ci aiuti, ci ridoni la capacità di muoverci e di affrontare ogni sfida che la vita propone. Gesù vuole essere presente nella nostra vita e curare quelle paralisi e quelle sofferenze. Ma possiamo sentirci come il centurione: indegni di Gesù. Ci chiediamo cioè: “ma Gesù cosa c’entra con la mia vita? O meglio, cosa c’entro io con la sua vita?”. Questa domanda, che dobbiamo farci ogni giorno, non deve però diventare una scusa per la nostra fede e aumentare così la nostra paralisi. Solo una vita che si affida a Gesù, in maniera semplice, umile e coraggiosa, come quella del centurione, riesce ad ottenere la guarigione di cui ha bisogno. Gesù non può continuare ad essere solamente un personaggio storico famoso, che tutti conoscono: deve diventare il nostro migliore amico, quello che ascolteremmo per ore, che disturberemmo per ogni nostro minimo problema. Quello dal quale, in ogni momento e per ogni necessità, ci sentiremmo rispondere sempre: Io per te ci sono. Verrò e ti aiuterò!

venerdì 30 novembre 2012

VIVENDO NORMALMENTE

Mentre camminava lungo il mare di Galilea vide due fratelli, Simone, chiamato Pietro, e Andrea suo fratello, che gettavano la rete in mare, poiché erano pescatori. E disse loro: "Seguitemi, vi farò pescatori di uomini". Ed essi subito, lasciate le reti, lo seguirono. Andando oltre, vide altri due fratelli, Giacomo di Zebedèo e Giovanni suo fratello, che nella barca insieme con Zebedèo, loro padre, riassettavano le reti; e li chiamò. Ed essi subito, lasciata la barca e il padre, lo seguirono. 
Mt 4, 18-22 

Colpisce che siano due coppie di fratelli i primi chiamati. Colpisce la prontezza e la velocità con le quali questi quattro amici dicono di sì a Gesù che passa accanto a loro, mentre lavorano, mentre vivono la loro vita, normalmente. È proprio nella normalità della vita che Gesù vuole incontrarci. Potremmo dire "sul posto di lavoro", laddove siamo e facciamo le cose di sempre. Non solo nel giorno "della festa", non solo in eventi speciali e straordinari. Dio, che è il Dio della vita, si manifesta sempre nella vita. Impariamo da questi Apostoli, in particolare dalla premura e dalla prontezza dell'Apostolo Andrea, a saper riconoscere il Signore che ci passa accanto, che ha bisogno di noi, che ci chiede, in semplicità, di annunciarlo a tutti i fratelli che incontriamo.


"Quella di Andrea è la parola di uno che aspettava con ansia la venuta del Messia, che ne attendeva la discesa dal cielo, che trasalì di gioia quando lo vide arrivare, e che si affrettò a comunicare agli altri la grande notizia. Dicendo subito al fratello ciò che aveva saputo, mostra quanto gli volesse bene, come fosse affezionato ai suoi cari, quanto sinceramente li amasse e come fosse premuroso di porgere loro la mano nel cammino spirituale."
(san Giovanni Crisostomo)

giovedì 29 novembre 2012

ALZARE LA TESTA PER ESSERE LIBERI

Ma quando vedrete Gerusalemme circondata da eserciti, sappiate allora che la sua devastazione è vicina. Allora coloro che si trovano nella Giudea fuggano ai monti, coloro che sono dentro la città se ne allontanino, e quelli in campagna non tornino in città; saranno infatti giorni di vendetta, perché tutto ciò che è stato scritto si compia. Guai alle donne che sono incinte e allattano in quei giorni, perché vi sarà grande calamità nel paese e ira contro questo popolo. Cadranno a fil di spada e saranno condotti prigionieri tra tutti i popoli; Gerusalemme sarà calpestata dai pagani finché i tempi dei pagani siano compiuti. Vi saranno segni nel sole, nella luna e nelle stelle, e sulla terra angoscia di popoli in ansia per il fragore del mare e dei flutti, mentre gli uomini moriranno per la paura e per l'attesa di ciò che dovrà accadere sulla terra. Le potenze dei cieli infatti saranno sconvolte. Allora vedranno il Figlio dell'uomo venire su una nube con potenza e gloria grande. Quando cominceranno ad accadere queste cose, alzatevi e levate il capo, perché la vostra liberazione è vicina". 
Lc 21, 20-28 

Spesso nella nostra vita la paura di ciò che non conosciamo, di ciò che è più forte di noi, di ciò che vuole farci del male, ci costringe a vivere una vita al ribasso. Una vita piena di paure, di minacce, di ansie, è una vita schiacciata per terra. Lo sguardo è costantemente rivolto alla cose materiali, alle cose umane, troppo umane. La perseveranza che assicura l'incolumità perfino dei nostri capelli ci concede di lottare ogni giorno per vedere il momento in cui il Figlio dell'uomo giunge nella nostra esistenza, con quella potenza umile e semplice, capace di cambiare la vita nelle sue pieghe più oscure e dolorose. Quando cominceranno ad accadere queste cose, quando le "cose del mondo" incominceranno a far perdere la pace al cuore degli uomini, l'invito è quello di alzarsi in piedi, è quello di alzare la testa, per ricordarci quella sana nostalgia di cielo che ci rende liberi da ogni schiavitù terrena. Quello che chiede Gesù nel Vangelo di oggi è proprio questo: avere il coraggio e la forza di alzare la testa dalle nostre faccende terrene per poter continuare a credere in Lui. 

mercoledì 28 novembre 2012

MA NEMMENO UN CAPELLO...

Ma prima di tutto questo metteranno le mani su di voi e vi perseguiteranno, consegnandovi alle sinagoghe e alle prigioni, trascinandovi davanti a re e a governatori, a causa del mio nome. Questo vi darà occasione di render testimonianza. Mettetevi bene in mente di non preparare prima la vostra difesa; io vi darò lingua e sapienza, a cui tutti i vostri avversari non potranno resistere, né controbattere. Sarete traditi perfino dai genitori, dai fratelli, dai parenti e dagli amici, e metteranno a morte alcuni di voi; sarete odiati da tutti per causa del mio nome. Ma nemmeno un capello del vostro capo perirà. Con la vostra perseveranza salverete le vostre anime. 
Lc 21, 12-19 

Essere odiati a causa del Vangelo. Non solo dai nemici, ma anche -e soprattutto- da quelli che dovrebbero essere amici. Come può una Parola buona come quella di Gesù suscitare contro chi la mette in pratica tanto odio? Non sono solo previsioni profetiche del Messia. Così è realmente avvenuto e forse avviene ancora oggi. Forse non a tutti è chiesto di versare il sangue per il Vangelo. Ma spesso, se le parole, le scelte, le azioni che compiamo sono ispirate alla Verità che è Gesù, diamo fastidio, inceppiamo il meccanismo umano dell'abitudine e, nel pensiero altrui, sarebbe meglio che venissimo eliminati. Ma nemmeno un capello dalla nostra testa cadrà! Una promessa forte, che chiede oltre alla fede e alla speranza, anche la perseveranza di una fedeltà fino alla fine. Solo chi resterà fino alla fine riuscirà ad ottenere una vita nuova, finalmente, salvata.


lunedì 26 novembre 2012

SENZA PAROLE

Alzati gli occhi, vide alcuni ricchi che gettavano le loro offerte nel tesoro. Vide anche una vedova povera che vi gettava due spiccioli e disse: "In verità vi dico: questa vedova, povera, ha messo più di tutti. Tutti costoro, infatti, han deposto come offerta del loro superfluo, questa invece nella sua miseria ha dato tutto quanto aveva per vivere". 
Lc 21, 1-4 


Piccole cose, date con la massima generosità di cui si è capaci, valgono di più del superfluo dato con supponenza e con la pretesa di essere nel giusto. C'è di mezzo il cuore, non l'abitudine. C'è di mezzo la sincerità, non il prestigio di un riconoscimento. Questa povera vedova parla alla nostra presunta bravura e con il suo coraggio ci lascia (o dovrebbe farlo) senza parole.

venerdì 23 novembre 2012

QUANDO È TROPPO È TROPPO

Entrato poi nel tempio, cominciò a cacciare i venditori, dicendo: "Sta scritto: La mia casa sarà casa di preghiera. Ma voi ne avete fatto una spelonca di ladri!". Ogni giorno insegnava nel tempio. I sommi sacerdoti e gli scribi cercavano di farlo perire e così anche i notabili del popolo; ma non sapevano come fare, perché tutto il popolo pendeva dalle sue parole. 
Lc 19, 45-48 

Chissà perché il popolo pendeva dalle parole di Gesù, mentre una buona parte della gente che contava lo voleva far fuori... Sarà che al popolo, alla gente comune, anche alla più povera, quelle parole sembravano vere? Quelle parole coraggiose, che chiedevano trasparenza, libertà interiore, non attaccamento al prestigio di un ruolo, alla ricchezza del potere, alla prepotenza sugli altri, erano parole che davano speranza a chi tutti i giorni lottava per vivere mentre davano fastidio, tremendamente fastidio, a chi viveva nel modo denunciato da Gesù. Ma quando è troppo è troppo: anche a Gesù ci sono cose che danno fastidio. Si può tollerare la scorrettezza anche nel luogo più santo di tutti? Si può traviare così tanto il senso di un luogo in cui l'anima, ogni anima, anche la più povera, può incontrare il suo Dio? Facendo del tempio un mercato, coloro che vogliono uccidere Gesù hanno reso quel luogo sacro una casa di ladri, prepotenti, ricchi approfittatori. Intollerabile! Incontrare Dio è questione di cuore, non di ricchezza o potere!

giovedì 22 novembre 2012

LA VIA DELLA PACE


Quando fu vicino, alla vista della città, pianse su di essa, dicendo: "Se avessi compreso anche tu, in questo giorno, la via della pace. Ma ormai è stata nascosta ai tuoi occhi. Giorni verranno per te in cui i tuoi nemici ti cingeranno di trincee, ti circonderanno e ti stringeranno da ogni parte; abbatteranno te e i tuoi figli dentro di te e non lasceranno in te pietra su pietra, perché non hai riconosciuto il tempo in cui sei stata visitata". 
Lc 19, 41-44 

Attuale. Tremendamente attuale. Si ha quasi timore a commentare questa pagina conoscendo quanto succede in queste ore a Gerusalemme e in tutta quella santa terra. Quelle parole rivolte alla città santa possiamo però sentirle rivolte anche a noi. Ciò che ci chiede oggi Gesù è di riconoscere il tempo in cui si è visitati da lui. La nostra vita, tutta la nostra vita, in ogni suo singolo dettaglio, può diventare occasione di incontro con Dio, tempo di visita di quella presenza, che più di ogni altra cosa dona la pace. La presenza di Gesù nella vita dell'uomo ha sempre questo effetto: porta la pace. Pace nel cuore, pace nei pensieri, pace nelle azioni. E là, dove manca il dono di Dio della pace, Dio stesso si mette a piangere per noi.

mercoledì 21 novembre 2012

LA VITA È IMPEGNATIVA

Mentre essi stavano ad ascoltare queste cose, Gesù disse ancora una parabola perché era vicino a Gerusalemme ed essi credevano che il regno di Dio dovesse manifestarsi da un momento all'altro. Disse dunque: "Un uomo di nobile stirpe partì per un paese lontano per ricevere un titolo regale e poi ritornare. Chiamati dieci servi, consegnò loro dieci mine, dicendo: Impiegatele fino al mio ritorno. Ma i suoi cittadini lo odiavano e gli mandarono dietro un'ambasceria a dire: Non vogliamo che costui venga a regnare su di noi. Quando fu di ritorno, dopo aver ottenuto il titolo di re, fece chiamare i servi ai quali aveva consegnato il denaro, per vedere quanto ciascuno avesse guadagnato. Si presentò il primo e disse: Signore, la tua mina ha fruttato altre dieci mine. Gli disse: Bene, bravo servitore; poiché ti sei mostrato fedele nel poco, ricevi il potere sopra dieci città. Poi si presentò il secondo e disse: La tua mina, signore, ha fruttato altre cinque mine. Anche a questo disse: Anche tu sarai a capo di cinque città. Venne poi anche l'altro e disse: Signore, ecco la tua mina, che ho tenuta riposta in un fazzoletto; avevo paura di te che sei un uomo severo e prendi quello che non hai messo in deposito, mieti quello che non hai seminato. Gli rispose: Dalle tue stesse parole ti giudico, servo malvagio! Sapevi che sono un uomo severo, che prendo quello che non ho messo in deposito e mieto quello che non ho seminato: perché allora non hai consegnato il mio denaro a una banca? Al mio ritorno l'avrei riscosso con gli interessi. Disse poi ai presenti: Toglietegli la mina e datela a colui che ne ha dieci. Gli risposero: Signore, ha già dieci mine! Vi dico: A chiunque ha sarà dato; ma a chi non ha sarà tolto anche quello che ha. E quei miei nemici che non volevano che diventassi loro re, conduceteli qui e uccideteli davanti a me". Dette queste cose, Gesù proseguì avanti agli altri salendo verso Gerusalemme. 
Lc 19, 11-28


Parole dure quelle che usa Gesù in questa parabola per insegnare a chi lo ascolta una cosa molto importante: la vita, quest'unica vita che abbiamo, va giocata al cento per cento ogni giorno, senza risparmiarla per nessun motivo. Non c'è pigrizia, non c'è paura, non c'è mancanza di forza di volontà che tenga: se conosci la strada giusta - sembra dire - devi percorrerla. Cosa c'è ancora da aspettare? Perché continuare a vivere una vita e una fede piena di pigrizia e di scuse? Camminare sulle strade della vita e della fede, prima ancora di fare tante cose e sentirsi pronti,"a posto", vuol dire accettare che Dio voglia incontrarci, voglia parlarci attraverso la buona Notizia che è Gesù, voglia farci comprendere il modo per avere la vita eterna. Voglia amarci. Non è il caso di avanzare scuse: ne va della nostra felicità! 

martedì 20 novembre 2012

A CERCARE E A SALVARE

Entrato in Gerico, attraversava la città. Ed ecco un uomo di nome Zaccheo, capo dei pubblicani e ricco, cercava di vedere quale fosse Gesù, ma non gli riusciva a causa della folla, poiché era piccolo di statura. Allora corse avanti e, per poterlo vedere, salì su un sicomoro, poiché doveva passare di là. Quando giunse sul luogo, Gesù alzò lo sguardo e gli disse: "Zaccheo, scendi subito, perché oggi devo fermarmi a casa tua". In fretta scese e lo accolse pieno di gioia. Vedendo ciò, tutti mormoravano: "È andato ad alloggiare da un peccatore!". Ma Zaccheo, alzatosi, disse al Signore: "Ecco, Signore, io do la metà dei miei beni ai poveri; e se ho frodato qualcuno, restituisco quattro volte tanto". Gesù gli rispose: "Oggi la salvezza è entrata in questa casa, perché anch'egli è figlio di Abramo; il Figlio dell'uomo infatti è venuto a cercare e a salvare ciò che era perduto". 
Lc 19, 1-10 


C'è chi accoglie Gesù pieno di gioia e chi trova ogni scusa per mormorare contro di Lui. Come duemila anni fa anche oggi Gesù fa questo effetto: ad un certo punto passa nella nostra vita, ci rivolge un invito e la nostra libertà può prendere una decisione. O è sì o è no, le vie di mezzo non sono contemplate perché di una persona o sei amico oppure no. L'amicizia che il Figlio di Dio vuole intrattenere con gli uomini e le donne di ogni tempo è un'amicizia che salva: Zaccheo, ricco, capo dei pubblicani, responsabile di tutti gli amministratori disonesti al servizio dei Romani, il più antipatico ed insopportabile personaggio di quella città si sente dire scendi in fretta, perché devo venire a casa tua, per stare con te, perché ho voglia di stare con te! Gesù accetta di stare con i peggiori ceffi della società, ha voglia di stare con loro affinché la loro vita possa essere in qualche modo riscattata e salvata. Non so voi, ma a me un'amicizia di questo tipo piace tantissimo. Un'amicizia che dice: ho voglia di stare con te così come sei, con i tuoi limiti e difetti. Un'amicizia che non guarda agli errori commessi, ma alla possibilità di riscattarsi ogni volta. Un'amicizia buona che sa di fiducia illimitata, un'amicizia che salva la vita perché non riduce l'uomo alla somma dei suoi sbagli, ma apre alla possibilità infinita di gesti di bene: "e se ho rubato a qualcuno, restituisco quattro volte tanto!". 
Solo da questa amicizia nasce una vita nuova: una vita cercata, amata, perdonata e salvata.

lunedì 19 novembre 2012

E COSI' È ACCADUTO

Mentre si avvicinava a Gerico, un cieco era seduto a mendicare lungo la strada. Sentendo passare la gente, domandò che cosa accadesse. Gli risposero: "Passa Gesù il Nazareno!". Allora incominciò a gridare: "Gesù, figlio di Davide, abbi pietà di me!". Quelli che camminavano avanti lo sgridavano, perché tacesse; ma lui continuava ancora più forte: "Figlio di Davide, abbi pietà di me!". Gesù allora si fermò e ordinò che glielo conducessero. Quando gli fu vicino, gli domandò: "Che vuoi che io faccia per te?". Egli rispose: "Signore, che io riabbia la vista". E Gesù gli disse: "Abbi di nuovo la vista! La tua fede ti ha salvato". Subito ci vide di nuovo e cominciò a seguirlo lodando Dio. E tutto il popolo, alla vista di ciò, diede lode a Dio. 
Lc 18, 35-43

Al centro del Vangelo di oggi c'è una domanda che Gesù fa al cieco di Gerico: che cosa vuoi che io faccia per te? Quante volte anche noi avremmo bisogno di sentirci rivolgere una domanda del genere? Gesù lo chiede al cieco, diventato cieco per qualche motivo a noi sconosciuto, e lo chiede anche a noi, che ogni giorno rischiamo di perdere la vista, cioè rischiamo di non essere in grado di comprendere ciò che ci accade e di adottare l'atteggiamento giusto per affrontare le nostre giornate. C'è una grande fiducia in quest'uomo nei confronti di Gesù: ne ha sentito parlare molto (anche noi abbiamo sentito parlare spesso di Gesù) e non ha vergogna ad urlargli il suo bisogno. La fede di quest'uomo lo salva perché non si fa bloccare dalla vergogna, dalla pigrizia, dall'opinione degli altri. Non aspetta che qualcun altro si faccia avanti prima di lui: lui ha bisogno di una vita guarita e salvata e lui si fa avanti. È questo il motivo per cui si salva: perché ha il coraggio di saltare in piedi e di affidarsi ad uno che poteva farlo vivere di nuovo. 
E così è accaduto. 

venerdì 16 novembre 2012

PROPRIO DOVE SIAMO

«Come avvenne nei giorni di Noè, così sarà nei giorni del Figlio dell’uomo: mangiavano, bevevano, prendevano moglie, prendevano marito, fino al giorno in cui Noè entrò nell’arca e venne il diluvio e li fece morire tutti. Come avvenne anche nei giorni di Lot: mangiavano, bevevano, compravano, vendevano, piantavano, costruivano; ma, nel giorno in cui Lot uscì da Sòdoma, piovve fuoco e zolfo dal cielo e li fece morire tutti. Così accadrà nel giorno in cui il Figlio dell’uomo si manifesterà. In quel giorno, chi si troverà sulla terrazza e avrà lasciato le sue cose in casa, non scenda a prenderle; così, chi si troverà nel campo, non torni indietro. Ricordatevi della moglie di Lot. Chi cercherà di salvare la propria vita, la perderà; ma chi la perderà, la manterrà viva. Io vi dico: in quella notte, due si troveranno nello stesso letto: l’uno verrà portato via e l’altro lasciato; due donne staranno a macinare nello stesso luogo: l’una verrà portata via e l’altra lasciata». Allora gli chiesero: «Dove, Signore?». Ed egli disse loro: «Dove sarà il cadavere, lì si raduneranno insieme anche gli avvoltoi». 
Lc 17, 26-37 


Non c'è da aspettarsi grandi cose, grandi miracoli, grandi eventi: il regno di Dio entra nella quotidianità della vita e la trasforma migliorandola. Il regno di Dio è Gesù con il suo insegnamento, mai conosciuto abbastanza, spesso presupposto, perché ci ricordiamo di qualche paraboletta imparata al catechismo da bambini e pensiamo ci possa bastare. La vita può continuare anche così: da un lato il grande desiderio di migliorarla, di trovare un po' di pace, una gioia vera, che renda felici al di là di ciò che accade; dall'altro la fatica, forse la pigrizia, di non lasciar cambiare le giornate così come le viviamo, di non avere quegli occhi capaci di guardare alle cose e alle persone così come guardava Gesù. Si rimanda sempre la scelta di diventare veri discepoli del Maestro, perché c'è sempre qualcosa da fare: mangiare, bere, comprare, vendere, piantare, costruire, prendere moglie o marito. Ma è proprio in quel qualcosa da fare (la vita) che Gesù aspetta i suoi discepoli. Lui ci aspetta proprio dove viviamo, proprio nelle cose che facciamo tutti i giorni. Chiede di vivere le nostre occupazioni con lo stile che ci ha insegnato. Chiede di essere lievito, invisibile ed efficace, nella pasta delle cose del mondo. Chiede conversione, ogni giorno; chiede di essere luce, ogni giorno; chiede di essere amore, ogni giorno; chiede di cercare e trovare una direzione e un senso. Il coraggio, la voglia, la decisione di farci istruire dalla semplicità disarmante del vangelo deve partire da noi, dal nostro vivere quotidiano, dalle cose che facciamo, perché è solo nella vita quotidiana che si guadagna la vita eterna. Il regno di Dio è già qui, in mezzo a noi; il paradiso iniziamo a costruirlo noi, con le nostre mani. E in quel regno ci entrerà soltanto chi vorrà. Chi non vorrà continuerà a fare quello che faceva e verrà lasciato. 

Dove (verrà lasciato)? 
Dove sarà il cadavere, dove non ci sarà più vita, dove la vita non avrà più senso. 
E là, ci saranno anche gli avvoltoi. 

giovedì 15 novembre 2012

IN MEZZO A VOI!


Interrogato dai farisei: "Quando verrà il regno di Dio?", rispose: "Il regno di Dio non viene in modo da attirare l'attenzione, e nessuno dirà: Eccolo qui, o: eccolo là. Perché il regno di Dio è in mezzo a voi!". Disse ancora ai discepoli: "Verrà un tempo in cui desidererete vedere anche uno solo dei giorni del Figlio dell'uomo, ma non lo vedrete. Vi diranno: Eccolo là, o: eccolo qua; non andateci, non seguiteli. Perché come il lampo, guizzando, brilla da un capo all'altro del cielo, così sarà il Figlio dell'uomo nel suo giorno. Ma prima è necessario che egli soffra molto e venga ripudiato da questa generazione. 

Lc 17, 20-25


Il regno di Dio non è un luogo del mondo. È un modo di stare nel mondo. La vita, spesso, ci convince di come occorrerebbe essere un po' scaltri per non farsi azzoppare dalle vicende che accadono: bisogna farsi furbi, scaltri, saper riconoscere l'imbroglio e, se possibile, imparare a imbrogliare noi per primi. 
Ma questo modo di stare nel mondo non è secondo il Vangelo e chi vive in questo modo non comprenderà mai la logica del regno di Dio, che è la logica stessa di Dio. Il regno di Dio è in mezzo a noi, perché è Gesù stesso, è il modo in cui ci ha insegnato a vivere e ad amare. È lui, con le sue parole, con i suoi insegnamenti, con i suoi inviti a seguirlo anche laddove costa più fatica, anche dove il peso della croce sembra schiantarci a terra, anche dove nessuno lo riconosce. È un regno che comprende l'intera esistenza e per entrare a farne parte, già da oggi, da questo momento in cui leggiamo queste parole, occorre umiltà, semplicità, desiderio di farci provocare e trasformare la vita da Uno che ne sa molto più di noi. 

mercoledì 14 novembre 2012

UN "GRAZIE" PUO' SERVIRE A SDEBITARSI

Durante il viaggio verso Gerusalemme, Gesù attraversò la Samaria e la Galilea. Entrando in un villaggio, gli vennero incontro dieci lebbrosi i quali, fermatisi a distanza, alzarono la voce, dicendo: "Gesù maestro, abbi pietà di noi!". Appena li vide, Gesù disse: "Andate a presentarvi ai sacerdoti". E mentre essi andavano, furono sanati. Uno di loro, vedendosi guarito, tornò indietro lodando Dio a gran voce; e si gettò ai piedi di Gesù per ringraziarlo. Era un Samaritano. Ma Gesù osservò: "Non sono stati guariti tutti e dieci? E gli altri nove dove sono? Non si è trovato chi tornasse a render gloria a Dio, all'infuori di questo straniero?". E gli disse: "Alzati e va'; la tua fede ti ha salvato!". 

Lc 17, 11-19

Quando si è abituati a vivere le cose della nostra vita come fossero scontate, come se tutto debba essere dovuto, la prima parola a scomparire dal nostro vocabolario è la parola "grazie". La gratitudine, però, può esprimersi solo se ci si rende conto di aver ricevuto una grazia. Quell'unico Samaritano, tornato indietro per rendere gloria a Dio, cerca Gesù dopo essersi accorto di essere stato sanato: "Uno di loro, vedendosi guarito, tornò indietro...". 
È vero che tutti sono stati guariti? Sì. 
È vero che tutti si sono accorti della loro guarigione? Sì. 
Allora qual è la differenza tra questo decimo lebbroso e gli altri nove? 
È la fede. 
La fede di quest'uomo, la fiducia totale che pone in Gesù, gli permette non solo di essere guarito, ma anche di essere salvato. La fede di quest'uomo gli permette, ancor prima di essere guarito, di guardare alla sua vita con uno sguardo umile, senza pretese, senza la pretesa di dover ricevere qualcosa a tutti i costi. 
Quante volte, invece, viviamo così la nostra vita!? Pretendiamo di essere riconosciuti, pretendiamo gratificazioni, pretendiamo che gli altri ci ringrazino per quanto facciamo per loro. Pretendiamo una ricompensa. Tante pretese senza, spesso, nemmeno un "grazie". 
Il bisogno di guarigione dal nostro egoismo, dal nostro egocentrismo, dal bisogno di essere qualcuno di importante per gli altri, può essere sanato solo con uno sguardo umile su se stessi, solo comprendendo e assumendo in noi l'atteggiamento del servo inutile, che serve per amore e non per interesse. 
Ecco che allora dire "grazie" non sarà più così difficile, perché ci sentiremo in debito nei confronti di ogni creatura: debito di vita e di amore.



martedì 13 novembre 2012

ESSERE INUTILI

Chi di voi, se ha un servo ad arare o a pascolare il gregge, gli dirà quando rientra dal campo: Vieni subito e mettiti a tavola? Non gli dirà piuttosto: Preparami da mangiare, rimboccati la veste e servimi, finché io abbia mangiato e bevuto, e dopo mangerai e berrai anche tu? Si riterrà obbligato verso il suo servo, perché ha eseguito gli ordini ricevuti? Così anche voi, quando avrete fatto tutto quello che vi è stato ordinato, dite: Siamo servi inutili. Abbiamo fatto quanto dovevamo fare". 

Lc 17, 7-10

Non c'è merito nel servizio: chi serve non lo fa per una ricompensa, per essere riconosciuto come "bravo". Un servo, semplicemente, serve. Senza nessun'altra pretesa. 
Il disagio che proviamo nell'ascoltare quell'aggettivo -"inutile"- è frutto di un vizio che abbiamo: quello del voler essere riconosciuti a tutti i costi come importanti e indispensabili, senza ricordarci che quanto ci chiede di fare Gesù è una gara di stima reciproca, un primeggiare nel metterci a servizio degli altri. Fino a quando non ci entra nella testa che gli altri sono più importanti di noi, chiunque essi siano, non capiremo mai la bellezza di essere considerati inutili, cioè inutilizzabili o, meglio, inutilizzati, perché già "usati" per il servizio che potevamo prestare. 
La tentazione di rendere anche la nostra buona volontà, anche il nostro volontariato, un oggetto di vanto è qualcosa di assolutamente insopportabile agli occhi di Dio, il quale, invece, ama di amore incondizionato, senza condizioni. 

Ecco la perfetta letizia di un servo: l'assoluta libertà dal suo egocentrismo!




lunedì 5 novembre 2012

BUON APPETITO!

Disse poi a colui che l'aveva invitato: "Quando offri un pranzo o una cena, non invitare i tuoi amici, né i tuoi fratelli, né i tuoi parenti, né i ricchi vicini, perché anch'essi non ti invitino a loro volta e tu abbia il contraccambio. Al contrario, quando dài un banchetto, invita poveri, storpi, zoppi, ciechi; e sarai beato perché non hanno da ricambiarti. Riceverai infatti la tua ricompensa alla risurrezione dei giusti". 
Lc 14, 12-14




La questione del Vangelo di oggi sembra essere circoscritta ad una situazione particolare, quella degli inviti a pranzo/cena. Sembra surreale quello che sta dicendo Gesù: non offrire pasti, non dare cene, non organizzare momenti di festa per i tuoi amici o per persone che contano; invita tutti quelli che non inviterebbe nessuno, quelli che ad un primo momento scarteresti senza ombra di dubbio. 
La stranezza di questa indicazione di Gesù dice già che quello che ci vuole insegnare oggi va al di là della circostanza del pasto. Lo stile di vita del discepolo di Gesù per prima cosa assume in ogni istante la forma di una festa, di un invito a condividere gioia, amicizia, ospitalità, accoglienza. Un discepolo di Gesù è gioiso, cerca di essere amico di tutti, è ospitale, è accogliente con le sue azioni, con il suo modo di porsi, di fare, di parlare agli altri. La vita, così, diventa tutta una festa. Una festa alla quale occorre invitare soprattutto coloro che hanno bisogno di ciò che possiamo offrirgli: i ricchi, gli amici, i nostri fratelli, già godono sempre della nostra amicizia e della nostra bella compagnia. Gli ultimi, i poveri, gli ammalati, gli anziani, coloro che non hanno da ricambiare, quelli che faticano a credere, quelli che si sentono lontani o abbandonati da Dio, quelli che stanno sul muretto a fare baldoria o chiusi da qualche parte a cercare felicità in erbe esotiche, sono i più bisognosi dei nostri inviti, quelli più bisognosi di ricevere da noi un po' della nostra vita, una "fetta" di quella vita che ogni giorno vogliamo farci trasformare in meglio da Gesù. 
Ecco, allora, che diventiamo senza tanta fatica annunciatori delle buone parole di Gesù, del suo Vangelo: con la festa della nostra vita e, perché no, con il sederci allegramente a tavola. 

Buona vita! 
E buon appetito! 

giovedì 1 novembre 2012

INCOMINCIARE A FARE COME LORO

Sembra ormai una tradizione quella che caratterizza questi primi giorni di Novembre, tra vari festeggiamenti, festività e commemorazioni.Siamo forse abituati, e un po’ aspettiamo questi giorni autunnali, in cui generalmente ci si ferma, le scuole chiudono, il lavoro per molti è sospeso e in qualche modo siamo chiamati a fare festa. C’è chi fa festa provando a imitare un carnevale un po’ americano, chi partendo per qualche giorno di vacanza e chi, come molti cristiani, dedicando un po’ del loro tempo e delle loro preghiere per due categorie di persone, molto particolari: i santi e i morti. Dei nostri cari morti non ci occupiamo oggi, perché la festa di questo primo giorno di Novembre riguarda i santi. Anzi, Tutti i santi.

E quella di oggi è una festa, una solennità, che la Chiesa ci propone per fare principalmente tre cose: RINGRAZIARE, IMPARARE, IMITARE.

Oggi noi, con la messa che celebriamo per questa festa, facciamo una cosa che normalmente viviamo tutte le domeniche: ringraziamo Dio per un dono grande. Di domenica ringraziamo per il dono di Gesù, della vita di Gesù nel giorno della sua risurrezione, nel giorno del Signore. Nella Solennità di tutti i santi noi diciamo grazie a Dio perché ci ha donato, nel corso della storia, tantissime persone, uomini e donne, giovani e anziani, religiosi e genitori, in ogni parte del mondo, che ad un certo punto hanno deciso di fare sul serio con Gesù e con il suo Vangelo. A tutte queste persone, a tutti questi santi, ad un certo punto non bastava più “dire” di essere cristiani, non bastava più andare a messa tutte le domeniche, magari a volte un po’ controvoglia. A tutte queste persone il Vangelo di Gesù è piaciuto talmente tanto che hanno deciso di viverlo, cioè di metterlo in pratica, quasi alla lettera. Diciamo grazie a Dio, allora, perché ci ha mostrato con queste persone, che vivere il Vangelo è davvero possibile; che le parole di Gesù non sono soltanto una storiella che serve per consolarci dalle cose brutte della vita, ma qualcosa capace di renderla bella, buona e vera. Noi, oggi, ringraziamo Dio Padre e Tutti i santi proprio per questo motivo: perché ci dimostrano che credere in Gesù e nel suo Vangelo è possibile; ed è meglio farlo, che far finta di niente!

Ma con questa Eucaristia noi non vogliamo soltanto ringraziare e dire: "bene, grazie santi per aver vissuto una bella vita, adesso noi pensiamo alla nostra". No! Se ci limitiamo a ringraziare, a partecipare a questa Eucaristia, non cambierebbe forse niente. Dai santi occorre imparare il loro segreto, quel segreto che gli ha permesso di vivere una bella vita, una vita felice e di arrivare al giorno della loro morte senza paura e senza angoscia. E il loro segreto più grande, da sempre, è stato quello di prendere sul serio la Parola di Dio, il Vangelo, e di lasciarsi trasformare a poco a poco la vita dalle parole stesse di Gesù.
Noi oggi abbiamo ascoltato una delle pagine più belle e famose del Vangelo, quella delle Beatitudini. Gesù si trova di fronte a tantissima gente, molto diversa. La maggior parte di queste persone si trova a vivere situazioni di fatica, di difficoltà, di dolore, di tristezza. O forse semplicemente, come la maggior parte di noi, quella gente aveva qualche problema, che da sola non riusciva a risolvere, che senza una speranza non riusciva ad affrontare.
Gesù parte proprio da qui, dal vedere come sono messi gli uomini, per regalare a loro la speranza della felicità. Non l’illusione, non una bugia, ma la speranza di essere davvero felici, nonostante le prove e le fatiche di ogni giorno.
Beati i poveri in spirito, cioè i semplici;
beati quelli che piangono per qualche motivo;
beati i miti;
beati coloro che vogliono giustizia;
beati i puri di cuore, coloro che non guardano agli altri e alla vita con uno sguardo cattivo, non buono, non puro;
beati coloro che amano vivere nella pace, nella pace delle relazioni personali, senza farsi dividere da litigi e discussioni;
beati anche coloro che vengono perseguitati o causa della giustizia, cioè delle cose giuste da fare, oppure a causa del Vangelo, chi viene preso in giro perché si dice cristiano o chi, come in tante parti del mondo ancora oggi, solo perché cristiano, viene ucciso con la violenza.
I santi, quelle persone normali, quelle persone come noi che hanno deciso di vivere il vangelo al 100%, senza sconti, hanno vissuto già su questa terra con la speranza di questa pagina di Vangelo. Non sono stati illusi dalle parole di Gesù, ma le parole di Gesù hanno illuminato anche le zone più buie della loro vita e così, con questa luce in più hanno saputo andare avanti, nonostante tutto, anche di fronte a chi, in moltissimi casi, ha preferito togliere loro la vita uccidendoli proprio perché cristiani.

E infine, questa festa ci chiede di imitarli. È bello sentir parlare dei santi, magari ciascuno di noi ha il suo santo preferito, più o meno recente. È bello e commovente leggere la vita di qualche santo, conoscere ciò che ha fatto. Ogni tanto anche in tv possiamo vedere qualche film che ci parla della vita di qualcuno di loro.
È bello e giusto ricordarli e fare festa per loro, ma è ancora più bello e più giusto incominciare ad imitarli, incominciare a fare come loro, incominciare a capire che vivere il Vangelo non è qualcosa di troppo difficile, non è qualcosa di troppo lontano. Il Vangelo è possibile metterlo in pratica sempre, ad ogni età, qualsiasi cosa siamo capaci di fare o non fare. Perché è ciò che Gesù vuole e chiede a ciascuno di noi: di essere beati, cioè felici.
E chi di noi non vuole essere così? Chi non vuole essere davvero felice? E chi, davanti a Dio che mostra qual è la strada della felicità, non è disposto a percorrerla subito?

Ringraziare, imparare, imitare.
Sono queste le tre cose che vogliamo fare a partire da questa giornata.
Ri-partiamo da questa festa con la consapevolezza che da oggi, tra tutti questi santi che oggi festeggiamo, c’è un posto anche per noi.