venerdì 21 dicembre 2012

TREMARE DI GIOIA

In quei giorni Maria si alzò e andò in fretta verso la regione montuosa, in una città di Giuda. Entrata nella casa di Zaccarìa, salutò Elisabetta. Appena Elisabetta ebbe udito il saluto di Maria, il bambino sussultò nel suo grembo. Elisabetta fu colmata di Spirito Santo ed esclamò a gran voce: «Benedetta tu fra le donne e benedetto il frutto del tuo grembo! A che cosa devo che la madre del mio Signore venga da me? Ecco, appena il tuo saluto è giunto ai miei orecchi, il bambino ha sussultato di gioia nel mio grembo. E beata colei che ha creduto nell’adempimento di ciò che il Signore le ha detto». 
Lc 1,39-45

La fretta con la quale Maria si alza e raggiunge sua cugina Elisabetta è abbastanza sospetta: perché tanta fretta, perché tutta questa urgenza di raggiungere la sua parente anziana al sesto mese di gravidanza? 
Mi pare di vederla questa ragazza: la vita sconvolta dal progetto che Dio ha su di lei, un fidanzato al quale spiegare il motivo per cui è incinta, dei genitori (Gioacchino e Anna) che le avranno fatto mille domande e poi quella legge, che la condannava a morte come un'adultera. Altro che visitazione! Maria scappa da sua cugina Elisabetta perché ha bisogno di essere aiutata, perché ha bisogno di essere sostenuta in quel "sì" che aveva detto al Signore. Convinta nel suo "eccomi", bisognosa di essere aiutata a portare a compimento ciò che aveva accettato. Non è forse la prima cosa che facciamo quando percepiamo una cosa bella, grande, più grande di noi (come può essere una vocazione) quella di scappare da qualcuno che ci può capire, perché magari ha già vissuto un'esperienza del genere? In questi giorni prima di Natale l'umanità di Maria mi fa tremare: perché mi fa capire che le grandi cose che l'Altissimo ha compiuto in lei le può compiere anche in me, anche in te, anche in ciascuno di noi. 
Tremare di gioia. 

giovedì 20 dicembre 2012

CAMBIO DI PROGRAMMA

Nel sesto mese, l'angelo Gabriele fu mandato da Dio in una città della Galilea, chiamata Nazaret, a una vergine, promessa sposa di un uomo della casa di Davide, chiamato Giuseppe. La vergine si chiamava Maria. Entrando da lei, disse: "Ti saluto, o piena di grazia, il Signore è con te". A queste parole ella rimase turbata e si domandava che senso avesse un tale saluto. L'angelo le disse: "Non temere, Maria, perché hai trovato grazia presso Dio. Ecco concepirai un figlio, lo darai alla luce e lo chiamerai Gesù. Sarà grande e chiamato Figlio dell'Altissimo; il Signore Dio gli darà il trono di Davide suo padre e regnerà per sempre sulla casa di Giacobbe e il suo regno non avrà fine". Allora Maria disse all'angelo: "Come è possibile? Non conosco uomo". Le rispose l'angelo: "Lo Spirito Santo scenderà su di te, su te stenderà la sua ombra la potenza dell'Altissimo. Colui che nascerà sarà dunque santo e chiamato Figlio di Dio. Vedi: anche Elisabetta, tua parente, nella sua vecchiaia, ha concepito un figlio e questo è il sesto mese per lei, che tutti dicevano sterile: nulla è impossibile a Dio". Allora Maria disse: "Eccomi, sono la serva del Signore, avvenga di me quello che hai detto". E l'angelo partì da lei. 
Lc 1, 26-38



Ed ecco il racconto che descrive il giorno che ha cambiato la storia: Maria, giovane ragazza, piena di fede in Dio, accoglie l’annuncio dell’angelo Gabriele con semplicità e affidamento. Il suo “sì”, semplice e sincero, è detto senza paura, ma anche con un certo tremore, con un turbamento interiore che non le permetteva di comprendere fino in fondo il senso delle cose che stavano accadendo. Nonostante tutto, con la sua fede e il suo coraggio, ha permesso all’umanità di essere salvata. Se noi oggi conosciamo Gesù e siamo cristiani è perché quella mattina Maria ha accettato la volontà di Dio sulla sua vita, ha accettato di farsi scombussolare la vita da Dio e dalle sue parole. Ma se Dio ha avuto bisogno di una ragazza di 15 anni per fare grandi cose, da me cosa può aver bisogno?

mercoledì 19 dicembre 2012

NON È MAI TROPPO TARDI

Al tempo di Erode, re della Giudea, c'era un sacerdote chiamato Zaccaria, della classe di Abìa, e aveva in moglie una discendente di Aronne chiamata Elisabetta. Erano giusti davanti a Dio, osservavano irreprensibili tutte le leggi e le prescrizioni del Signore. Ma non avevano figli, perché Elisabetta era sterile e tutti e due erano avanti negli anni. Mentre Zaccaria officiava davanti al Signore nel turno della sua classe, secondo l'usanza del servizio sacerdotale, gli toccò in sorte di entrare nel tempio per fare l'offerta dell'incenso. Tutta l'assemblea del popolo pregava fuori nell'ora dell'incenso. Allora gli apparve un angelo del Signore, ritto alla destra dell'altare dell'incenso. Quando lo vide, Zaccaria si turbò e fu preso da timore. Ma l'angelo gli disse: "Non temere, Zaccaria, la tua preghiera è stata esaudita e tua moglie Elisabetta ti darà un figlio, che chiamerai Giovanni. Avrai gioia ed esultanza e molti si rallegreranno della sua nascita, poiché egli sarà grande davanti al Signore; non berrà vino né bevande inebrianti, sarà pieno di Spirito Santo fin dal seno di sua madre e ricondurrà molti figli d'Israele al Signore loro Dio. Gli camminerà innanzi con lo spirito e la forza di Elia, per ricondurre i cuori dei padri verso i figli e i ribelli alla saggezza dei giusti e preparare al Signore un popolo ben disposto". Zaccaria disse all'angelo: "Come posso conoscere questo? Io sono vecchio e mia moglie è avanzata negli anni". L'angelo gli rispose: "Io sono Gabriele che sto al cospetto di Dio e sono stato mandato a portarti questo lieto annunzio. Ed ecco, sarai muto e non potrai parlare fino al giorno in cui queste cose avverranno, perché non hai creduto alle mie parole, le quali si adempiranno a loro tempo". Intanto il popolo stava in attesa di Zaccaria, e si meravigliava per il suo indugiare nel tempio. Quando poi uscì e non poteva parlare loro, capirono che nel tempio aveva avuto una visione. Faceva loro dei cenni e restava muto. Compiuti i giorni del suo servizio, tornò a casa. Dopo quei giorni Elisabetta, sua moglie, concepì e si tenne nascosta per cinque mesi e diceva: "Ecco che cosa ha fatto per me il Signore, nei giorni in cui si è degnato di togliere la mia vergogna tra gli uomini". 
Lc 1,5-25 

È la storia del concepimento di Giovanni Battista, il “cugino” di Gesù, nato prima di Lui. Dio continua a fare grandi cose nella vita di chi si affida totalmente al suo amore e alla sua potenza. Fa nascere questo bambino in una famiglia di genitori anziani, che ormai avevano perso ogni speranza di poter avere un figlio. Ma la fede e l’affidamento di entrambi ha permesso loro di vivere senza lamentarsi, senza rinnegare Dio nella loro vita, senza arrivare ad accusarlo di questa mancanza. E questa loro vera e propria voglia di vivere è rientrata nel progetto di salvezza di Dio che prevedeva per loro la nascita di un figlio, del più grande di tutti i profeti, colui che avrebbe preparato la strada al Salvatore del mondo. Spesso succede anche a noi come a Zaccaria ed Elisabetta: una vita irreprensibile, bella, buona, magari anche piena di fede e opere buone. Ma c'è comunque qualcosa che non va, qualche preoccupazione o problema che crea "vergogna" per come siamo, per ciò che non riusciamo a completare, che ci lascia dubbiosi sulla reale potenza (o a volte, presenza) di Dio sulla nostra esistenza. La fede di questi due anziani li porta a realizzare il loro sogno, quel desiderio che li salva dalla maledizione degli uomini. Ci insegnano a rimanere con coraggio nel posto che la vita ci ha affidato, senza dare ai nostri problemi più peso di quanto già ne abbiano. Sempre con tanta, tanta, tanta fede.


martedì 18 dicembre 2012

ALLARGARE L'ORIZZONTE DEI SOGNI

Ecco come avvenne la nascita di Gesù Cristo: sua madre Maria, essendo promessa sposa di Giuseppe, prima che andassero a vivere insieme si trovò incinta per opera dello Spirito Santo. Giuseppe suo sposo, che era giusto e non voleva ripudiarla, decise di licenziarla in segreto. Mentre però stava pensando a queste cose, ecco che gli apparve in sogno un angelo del Signore e gli disse: "Giuseppe, figlio di Davide, non temere di prendere con te Maria, tua sposa, perché quel che è generato in lei viene dallo Spirito Santo. Essa partorirà un figlio e tu lo chiamerai Gesù: egli infatti salverà il suo popolo dai suoi peccati". Tutto questo avvenne perché si adempisse ciò che era stato detto dal Signore per mezzo del profeta: Ecco, la vergine concepirà e partorirà un figlio che sarà chiamato Emmanuele, che significa Dio con noi.Destatosi dal sonno, Giuseppe fece come gli aveva ordinato l'angelo del Signore e prese con sé la sua sposa. 
Mt 1, 18-24 

Che grande fede deve avere avuto Giuseppe! Spesso lo raffigurano come anziano. Forse era solo un po’ più grande di Maria (che aveva probabilmente 15/16 anni quando è rimasta incinta di Gesù). Un giovane uomo che si fida così tanto di Dio da iniziare un’avventura incredibile, sulla base di alcune parole dette da un angelo. Sulla base di un sogno. Giuseppe ha dato retta al suo sogno e ha trovato la strada per avere la felicità: quella di essere lo sposo di Maria e il padre putativo di Gesù. E noi siamo capaci di credere ai nostri sogni? Siamo capaci di fidarci così tanto da provare ad allargare l'orizzonte dei nostri sogni sulla base di quanto Dio continuamente ci chiede nella nostra vita? 

lunedì 17 dicembre 2012

DOPO TUTT-I, PROPRIO PER NOI

Genealogia di Gesù Cristo figlio di Davide, figlio di Abramo. Abramo generò Isacco, Isacco generò Giacobbe, Giacobbe generò Giuda e i suoi fratelli, Giuda generò Fares e Zara da Tamar, Fares generò Esròm, Esròm generò Aram, Aram generò Aminadàb, Aminadàb generò Naassòn, Naassòn generò Salmòn, Salmòn generò Booz da Racab, Booz generò Obed da Rut, Obed generò Iesse, Iesse generò il re Davide. Davide generò Salomone da quella che era stata la moglie di Urìa, Salomone generò Roboamo, Roboamo generò Abìa, Abìa generò Asàf, Asàf generò Giòsafat, Giòsafat generò Ioram, Ioram generò Ozia, Ozia generò Ioatam, Ioatam generò Acaz, Acaz generò Ezechia, Ezechia generò Manasse, Manasse generò Amos, Amos generò Giosia, Giosia generò Ieconia e i suoi fratelli, al tempo della deportazione in Babilonia. Dopo la deportazione in Babilonia, Ieconia generò Salatiel, Salatiel generò Zorobabèle, Zorobabèle generò Abiùd, Abiùd generò Elìacim, Elìacim generò Azor, Azor generò Sadoc, Sadoc generò Achim, Achim generò Eliùd, Eliùd generò Eleàzar, Eleàzar generò Mattan, Mattan generò Giacobbe, Giacobbe generò Giuseppe, lo sposo di Maria, dalla quale è nato Gesù chiamato Cristo. La somma di tutte le generazioni, da Abramo a Davide, è così di quattordici; da Davide fino alla deportazione in Babilonia è ancora di quattordici; dalla deportazione in Babilonia a Cristo è, infine, di quattordici. 
Mt 1, 1-17 

Un lungo elenco di nomi. A noi, forse, non ci dicono nulla tutti questi nomi. Ma se ci pensiamo bene questa genealogia di Gesù ci dice una cosa importantissima: Dio, da sempre, ha pensato di mandarci il suo Figlio; Dio, da sempre, ama tutti gli uomini, tanto da preparare per loro una storia di vita, tutta da provare, tutta da vivere. Noi abbiamo la grazia e la fortuna di vivere non più l’attesa ma il compimento di questa storia: solo con Gesù la storia della nostra vita ha un senso, un significato e una direzione. Solo con Gesù la nostra gioia può essere vera, abbondante e piena! Ancora pochi giorni e questa gioia diventerà stupore: lo stupore, dopo tanto tempo, di ritrovare ancora Gesù nella nostra esistenza.

venerdì 14 dicembre 2012

LAMENTOSAMENTE NON VA BENE!

Ma a chi paragonerò io questa generazione? Essa è simile a quei fanciulli seduti sulle piazze che si rivolgono agli altri compagni e dicono: Vi abbiamo suonato il flauto e non avete ballato, abbiamo cantato un lamento e non avete pianto. È venuto Giovanni, che non mangia e non beve, e hanno detto: Ha un demonio. È venuto il Figlio dell'uomo, che mangia e beve, e dicono: Ecco un mangione e un beone, amico dei pubblicani e dei peccatori. Ma la sapienza è stata riconosciuta giusta per le opere che essa compie. 
Mt 11, 16-19

Qual è un rischio che corriamo frequentemente e che colora la vita con tinte insopportabili? La lamentela! Ci possono essere giornate storte, ma spesso non ci va bene proprio niente: se piove perché piove, se fa freddo perché fa freddo, se fa caldo perché fa caldo… La vita migliore sembra essere sempre da un’altra parte. Hai mai provato a pensare che invece di lamentarti per qualsiasi motivo tu puoi prendere in mano le redini della tua vita e decidere da che parte andare, decidere come cambiare le cose? Puoi farlo, non trovare scuse: con la pazienza, la semplicità, la costanza e cercando il dialogo con gli altri saremmo capaci di fare veri e propri miracoli. Senza lamentele. 

giovedì 13 dicembre 2012

QUEL DITO CHE INDICA LA STRADA

In verità vi dico: tra i nati di donna non è sorto uno più grande di Giovanni il Battista; tuttavia il più piccolo nel regno dei cieli è più grande di lui. Dai giorni di Giovanni il Battista fino ad ora, il regno dei cieli soffre violenza e i violenti se ne impadroniscono. La Legge e tutti i Profeti infatti hanno profetato fino a Giovanni. E se lo volete accettare, egli è quell'Elia che deve venire. Chi ha orecchi, ascolti! 
Mt 11, 11-15

Giovanni Battista era cugino di secondo grado di Gesù. È nato sei mesi prima di Lui. È giunto sulla scena pubblica prima di Lui. È l’ultimo grande profeta prima di Gesù e aiuta la gente a prepararsi ad accogliere il Figlio di Dio. La nostra vita ha bisogno di persone come Giovanni Battista, che ci aiutino a prepararci, che ci parlino di Gesù, ci indichino la strada più sicura per arrivare a Lui. Spesso cerchiamo la felicità nella comodità, cercando di fare i furbi. Ma la vita, prima o poi, chiede il suo conto. Ci fidiamo di chi ci parla di Gesù? Abbiamo il coraggio di “ascoltare” le parole che riguardano il Signore e di farle entrare nella nostra vita? Oppure…rimangono solo belle parole? Coraggio!

mercoledì 12 dicembre 2012

UN PO' DI RIPOSO

Venite a me, voi tutti, che siete affaticati e oppressi, e io vi ristorerò. Prendete il mio giogo sopra di voi e imparate da me, che sono mite e umile di cuore, e troverete ristoro per le vostre anime. Il mio giogo infatti è dolce e il mio carico leggero". 
Mt 11, 28-30

In questo tempo di Avvento sembra che il Signore abbia un desiderio forte: quello di stare con noi. Per prepararci a vivere l’importante giorno della sua nascita abbiamo bisogno di stare un po’ di più con Lui, di leggere ogni giorno il Vangelo, di parlare e di raccontargli come sta andando il nostro cammino. Stare con Gesù ristora da tante fatiche, fa pensare a una vita diversa, più libera, una vita vera perché piena di speranza e di capacità di affrontare i problemi con uno sguardo differente. Quando stiamo con Lui nella preghiera ci sentiamo bene e impariamo, finalmente, ad essere miti e umili di cuore, cioè ad essere semplici. Solo così la vita trova riposo e la strada per la felicità.

martedì 11 dicembre 2012

NEANCHE UNO!

Che ve ne pare? Se un uomo ha cento pecore e ne smarrisce una, non lascerà forse le novantanove sui monti, per andare in cerca di quella perduta? Se gli riesce di trovarla, in verità vi dico, si rallegrerà per quella più che per le novantanove che non si erano smarrite. Così il Padre vostro celeste non vuole che si perda neanche uno solo di questi piccoli. 
Mt 18, 12-14 

Gesù è talmente interessato alla nostra vita, soprattutto nei momenti in cui siamo più lontano da Lui, che sarebbe disposto a lasciare perdere qualcuno dei suoi discepoli, pur di venirci a cercare. Non sempre ci accorgiamo di come il Signore ci venga incontro nelle nostre giornate. Occorre avere una vista capace di scorgere la sua presenza: attenzione ai dettagli, alle piccole cose, alle cose semplici che succedono, quelle che ci fanno sorridere, che ci lasciano sereni, che ci donano, anche per un solo momento, la pace nel cuore. Ecco ciò che vuole il Signore per noi: che non ci smarriamo, che non perdiamo la strada per tornare a casa. E una volta che il nostro cuore si sarà affidato ancora a Lui, il Signore è pronto a fare con noi una festa: la festa della vera gioia nella nostra vita. 
Fidati di Lui e lasciati cercare!

lunedì 10 dicembre 2012

COSE PRODIGIOSE

Un giorno sedeva insegnando. Sedevano là anche farisei e dottori della legge, venuti da ogni villaggio della Galilea, della Giudea e da Gerusalemme. E la potenza del Signore gli faceva operare guarigioni. Ed ecco alcuni uomini, portando sopra un letto un paralitico, cercavano di farlo passare e metterlo davanti a lui. Non trovando da qual parte introdurlo a causa della folla, salirono sul tetto e lo calarono attraverso le tegole con il lettuccio davanti a Gesù, nel mezzo della stanza. Veduta la loro fede, disse: "Uomo, i tuoi peccati ti sono rimessi". Gli scribi e i farisei cominciarono a discutere dicendo: "Chi è costui che pronuncia bestemmie? Chi può rimettere i peccati, se non Dio soltanto?". Ma Gesù, conosciuti i loro ragionamenti, rispose: "Che cosa andate ragionando nei vostri cuori? Che cosa è più facile, dire: Ti sono rimessi i tuoi peccati, o dire: Alzati e cammina? Ora, perché sappiate che il Figlio dell'uomo ha il potere sulla terra di rimettere i peccati: io ti dico - esclamò rivolto al paralitico - alzati, prendi il tuo lettuccio e va’ a casa tua". Subito egli si alzò davanti a loro, prese il lettuccio su cui era disteso e si avviò verso casa glorificando Dio. Tutti rimasero stupiti e levavano lode a Dio; pieni di timore dicevano: "Oggi abbiamo visto cose prodigiose". 
Lc 5, 17-26 

Gesù era un uomo straordinario. La gente per ascoltarlo camminava per giorni interi. Perché aveva parole vere, parole buone, parole che parlavano alla loro vita. Parole in grado di curare le malattie e le paralisi del corpo e del cuore. Spesso, Gesù, con i suoi discorsi aiutava la gente a convertire il loro cuore, cioè a guarirlo dalla durezza e dall’invidia. Gli scribi e i farisei di questo brano sono così: hanno il cuore indurito e non riescono a vedere in Gesù un uomo buono, uno che con le sue parole e i suoi gesti fa davvero del bene a chi lo incontra. Quell’uomo, quel giorno, grazie alla fede/fiducia dei suoi amici in Gesù, è tornato a casa camminando, pieno di gioia. Anche noi abbiamo bisogno di Gesù per guarire da tante malattie, da tante paralisi, da tante paure, dall’invidia, dalla pigrizia, dalla poca stima in noi stessi. Fidarsi di Gesù cambia la vita!

venerdì 7 dicembre 2012

AMBROGIO SIA VESCOVO!

Io sono il buon pastore. Il buon pastore offre la vita per le pecore. Il mercenario invece, che non è pastore e al quale le pecore non appartengono, vede venire il lupo, abbandona le pecore e fugge e il lupo le rapisce e le disperde; egli è un mercenario e non gli importa delle pecore. Io sono il buon pastore, conosco le mie pecore e le mie pecore conoscono me, come il Padre conosce me e io conosco il Padre; e offro la vita per le pecore. E ho altre pecore che non sono di quest'ovile; anche queste io devo condurre; ascolteranno la mia voce e diventeranno un solo gregge e un solo pastore. 
Gv 10, 11-16 

Ciò che Gesù ci dice in questo giorno di festa per la Chiesa di Milano riguarda un ambito forse un po’ lontano dalla nostra vita. Si parla di pecore, di pastori, di greggi. Attraverso questa metafora Gesù ci sta dicendo che ci fideremo di Lui soltanto nel momento in cui ci impegniamo a conoscerlo e ci lasciamo conoscere da Lui. Come fare? Come conoscere la voce buona del pastore che aiuta le pecore ad andare avanti? Come riconoscere invece la voce del mercenario (ovvero ciò che non fa bene alla nostra vita), al quale non importano le pecore? Dobbiamo faticare un po’ per stare con Gesù. Un pastore rimane tutto il giorno con le sue pecore e viceversa: le pecore quando non hanno più la loro guida, quando non vedono più il pastore e non sentono più la sua voce, si sentono perse. Anche noi possiamo vivere la stessa esperienza: da parte di Gesù c’è un grande desiderio di incontrarci e di stare con noi, soprattutto in quel tempo della giornata che decidiamo di dedicargli e ci mettiamo a pregare, cioè a parlare della nostra vita con Lui. Alla fine della prima/terza settimana di Avvento è importante fare un piccolo esame di coscienza: quanto mi sono fidato della voce buona di Gesù che vuole rendere migliore la mia vita?

giovedì 6 dicembre 2012

ROCK ON!

Non chiunque mi dice: Signore, Signore, entrerà nel regno dei cieli, ma colui che fa la volontà del Padre mio che è nei cieli. Perciò chiunque ascolta queste mie parole e le mette in pratica, è simile a un uomo saggio che ha costruito la sua casa sulla roccia. Cadde la pioggia, strariparono i fiumi, soffiarono i venti e si abbatterono su quella casa, ed essa non cadde, perché era fondata sopra la roccia. Chiunque ascolta queste mie parole e non le mette in pratica, è simile a un uomo stolto che ha costruito la sua casa sulla sabbia. Cadde la pioggia, strariparono i fiumi, soffiarono i venti e si abbatterono su quella casa, ed essa cadde, e la sua rovina fu grande. 
Mt 7,21.24-27 

Su che cosa costruiamo la nostra vita? Le nostre giornate da cosa prendono inizio? Qual è la forza che ci convince ad alzarci dal letto al mattino? Quali sono i punti di riferimento che si possono considerare per aggrapparci nei momenti più difficili? Ci sono vicende della vita che ci mettono alla prova: fatiche, dolori, sfide, delusioni, fallimenti. Sono queste cose che dicono chi siamo? Oppure siamo di più dei nostri fallimenti, valiamo di più di queste nostre cadute? 
Gesù sa che ognuno di noi vale di più di ciò che nella vita è un fallimento, vale di più di un brutto voto a scuola o di quel senso da "fallito" che si prova quando le cose vanno male e, per farlo percepire anche noi, ci insegna un trucco: costruisci la tua casa, fonda la tua vita, su una roccia, non sulla sabbia. Scavare la roccia è più faticoso, a volte procura dolore, ferisce le mani di chi scava. Ma il risultato finale è innegabile: chi costruisce così non verrà abbattuto da niente, perché la sua felicità non potrà passare. La sua felicità è Gesù e le sue parole indicheranno la strada da percorrere, le scelte da fare, il modo in cui vivere. Questo vuol dire “mettere in pratica le sue parole” e non soltanto riempirsi la bocca di belle (e un po’ false) espressioni che sanno di cristianesimo. Facciamo tante cose per Gesù, lo chiamiamo tante volte, ci diciamo cristiani. Ma le sue parole sono quella roccia che fonda la nostra vita?

mercoledì 5 dicembre 2012

FAME DI VITA

Allontanatosi di là, Gesù giunse presso il mare di Galilea e, salito sul monte, si fermò là. Attorno a lui si radunò molta folla recando con sé zoppi, storpi, ciechi, sordi e molti altri malati; li deposero ai suoi piedi, ed egli li guarì. E la folla era piena di stupore nel vedere i muti che parlavano, gli storpi raddrizzati, gli zoppi che camminavano e i ciechi che vedevano. E glorificava il Dio di Israele. Allora Gesù chiamò a sé i discepoli e disse: "Sento compassione di questa folla: ormai da tre giorni mi vengono dietro e non hanno da mangiare. Non voglio rimandarli digiuni, perché non svengano lungo la strada". E i discepoli gli dissero: "Dove potremo noi trovare in un deserto tanti pani da sfamare una folla così grande?". Ma Gesù domandò: "Quanti pani avete?". Risposero: "Sette, e pochi pesciolini". Dopo aver ordinato alla folla di sedersi per terra, Gesù prese i sette pani e i pesci, rese grazie, li spezzò, li dava ai discepoli, e i discepoli li distribuivano alla folla. Tutti mangiarono e furono saziati. 
Dei pezzi avanzati portarono via sette sporte piene. 



Mt 15, 29-37

Gesù non smette un secondo di prendersi cura della gente che va da Lui: prima li guarisce nei loro bisogni più urgenti (ridona parola ai muti, permette agli zoppi di ritornare a camminare, i paralizzati tornano a muoversi e i ciechi recuperano la vista); poi si preoccupa, prova compassione per un bisogno elementare, primario della vita di ciascuno di loro: la loro fame. Con poche cose, lo sappiamo, riesce a fare un grande miracolo. Sette pani e pochi pesci che si moltiplicano e sfamano tutti. Gesù è così: la sua presenza guarisce ogni malattia del corpo e dell’anima e sazia quella fame che ogni uomo e ogni donna, ogni ragazzo e ogni ragazza ha. Non parliamo solo di malattie e fame che riguardano il corpo, ma anche di quegli stati di “malattia” e di “fame” che riguardano la vita. Succede spesso di stare male senza un motivo medico o di sentire che qualcosa manca dentro, come una fame, come una felicità o una guarigione che non si riesce ad ottenere in nessun modo. Gesù si rende disponibile con le sue parole e con la sua presenza per stare con noi, per guarire ciò che non va e per sfamarci quando sentiamo fame, fame di vita vera!

martedì 4 dicembre 2012

NON BASTA...

In quello stesso istante Gesù esultò nello Spirito Santo e disse: "Io ti rendo lode, Padre, Signore del cielo e della terra, che hai nascosto queste cose ai dotti e ai sapienti e le hai rivelate ai piccoli. Sì, Padre, perché così a te è piaciuto. Ogni cosa mi è stata affidata dal Padre mio e nessuno sa chi è il Figlio se non il Padre, né chi è il Padre se non il Figlio e colui al quale il Figlio lo voglia rivelare". E volgendosi ai discepoli, in disparte, disse: "Beati gli occhi che vedono ciò che voi vedete. Vi dico che molti profeti e re hanno desiderato vedere ciò che voi vedete, ma non lo videro, e udire ciò che voi udite, ma non l'udirono". 
Lc 10, 21-24 

Ci sono tantissime cose che l’uomo può conoscere e molte, nel corso della storia, le ha comprese, conosciute, scoperte grazie alla sua forza di volontà, al suo intelletto, all’uso sano della ragione. Se oggi viviamo con tante comodità è proprio grazie a ciò che l’uomo è riuscito a scoprire, conoscere e inventare. Ma Gesù, in questo brano di Vangelo, in cui ringrazia il Padre perché i semplici e gli umili hanno capito, mentre i dotti e i sapienti no, ci vuole dire che non basta la sapienza umana, non basta arrivare a capire e scoprire ogni mistero, a spiegare ogni fenomeno con le sole nostre forze. All’uomo, a tutti gli uomini, serve una gioia vera, una felicità che non passa mai, nonostante tutto. E questa felicità -ci dice Gesù- la si scopre e conquista soltanto se si conosce Dio. Ma come possiamo conoscere Dio, che non lo vediamo, non lo sentiamo, non lo possiamo incontrare? È una domanda lecita, che tutti noi, prima o poi ci siamo fatti. Ma per ogni domanda c’è una sua risposta. Per ogni problema c’è la sua soluzione. Se non vediamo il Sole nel cielo, capiamo che c’è brutto tempo. Ma non possiamo dire che il Sole non esiste, solo perché non lo vediamo risplendere. Dio non si manifesta come tante altre cose, non fa il rumore che fanno gli uomini, non parla come noi. Abbiamo bisogno di allenare gli occhi per saperlo riconoscere, le orecchie per saperlo ascoltare, il cuore per saperlo amare, dopo aver percepito che Lui per primo ci ama! Quante persone desiderano amare Dio e non ce la fanno!?

lunedì 3 dicembre 2012

IO VERRO’ E LO CURERO’

Entrato in Cafarnao, gli venne incontro un centurione che lo scongiurava: "Signore, il mio servo giace in casa paralizzato e soffre terribilmente". Gesù gli rispose: "Io verrò e lo curerò". Ma il centurione riprese: "Signore, io non son degno che tu entri sotto il mio tetto, dì soltanto una parola e il mio servo sarà guarito. Perché anch'io, che sono un subalterno, ho soldati sotto di me e dico a uno: Fà questo, ed egli lo fa". All'udire ciò, Gesù ne fu ammirato e disse a quelli che lo seguivano: "In verità vi dico, presso nessuno in Israele ho trovato una fede così grande. Ora vi dico che molti verranno dall'oriente e dall'occidente e siederanno a mensa con Abramo, Isacco e Giacobbe nel regno dei cieli. 
Mt 8, 5-11 

Essere paralizzati. Soffrire terribilmente. Spesso nella vita ci sentiamo così: “paralizzati”, cioè senza la forza, il coraggio, di fare nulla. Pensiamo che non valga la pena, pensiamo che i problemi che abbiamo siano più grandi di noi. Spesso è proprio così e da soli non ce la facciamo. Quante volte lo hai pensato: “come faccio a farcela da solo?” ? Questo senso di paralisi, questo senso di solitudine ci fa soffrire, fa soffrire moltissimo e il desiderio più grande è quello che qualcuno arrivi e ci aiuti, ci ridoni la capacità di muoverci e di affrontare ogni sfida che la vita propone. Gesù vuole essere presente nella nostra vita e curare quelle paralisi e quelle sofferenze. Ma possiamo sentirci come il centurione: indegni di Gesù. Ci chiediamo cioè: “ma Gesù cosa c’entra con la mia vita? O meglio, cosa c’entro io con la sua vita?”. Questa domanda, che dobbiamo farci ogni giorno, non deve però diventare una scusa per la nostra fede e aumentare così la nostra paralisi. Solo una vita che si affida a Gesù, in maniera semplice, umile e coraggiosa, come quella del centurione, riesce ad ottenere la guarigione di cui ha bisogno. Gesù non può continuare ad essere solamente un personaggio storico famoso, che tutti conoscono: deve diventare il nostro migliore amico, quello che ascolteremmo per ore, che disturberemmo per ogni nostro minimo problema. Quello dal quale, in ogni momento e per ogni necessità, ci sentiremmo rispondere sempre: Io per te ci sono. Verrò e ti aiuterò!